Qui Hong Kong



Inserita l'impostazione "grande metropoli" (passo più rapido e maggior scaltrezza per la sopravvivenza quotidiana, attitudini che si sono un po' assopite nella nostra placida Taipei), martedì pomeriggio siamo sbarcati all'aereoporto internazionale di Hong Kong. Undicesimo atterraggio, ma questa volta ci siamo diretti all'uscita e non all'area per i connected flights to Milan o to Tel Aviv.

Treno veloce verso Kowloon, la peninsola che, con l'isola ed i New Territories,  fa parte dell'area metropolitana di Hong Kong.
Poi un valzer di metropolitane per raggiungere e fare check-in in quello che, alla fine, non era il nostro albergo.
Un caso di omonimia ci ha tratto in inganno e ci siamo trovati in una zona semiperiferica della città a chiederci come diavolo fossimo finiti proprio lì.
Per fortuna, invece, la posizione di quello prescelto era centralissima, a due passi dalla baia e con una bellissima vista sullo skyline dell'isola di Hong Kong.


Evelything is closed today because new yeal, ci ha detto Candy, la ragazza alla reception, abbozzando una smorfia di finto dispiacere.
Era, invece, tutto rigorosamente aperto, tranne dei negozietti cinesi di funghi secchi, pinne di squalo ed erbe aromatiche che rispettano ancora scrupolosamente i giorni festivi previsti dal capodanno cinese. Con grande spirito di sacrificio, sono riuscita comunque a farne a meno per un paio di giorni.
Ho fatto, invece, molta più fatica a fare a meno di Ming che è rimasto a Taipei con i nonni di Israele. E' stata la prima volta, in 19 mesi, che ci siamo concessi un break dal nostro gnometto ed un rapido salto nel passato, quando guardavamo con compatimento le famiglie che viaggiavano con bimbi piccoli.

Con un berretto di lana in testa (faceva un freddo cane), le mie indistruttibili All-star e, last but not least, Iduzzo, sono partita in esplorazione di quella che è indubbiamente una metropoli densamente popolata. E' un continuo alternarsi di torri residenziali sul fatiscente andante, molto china style, e di grattacieli ultramoderni in acciaio e vetro. Tutti con almeno 40 o 50 piani.
Lo spettacolo dello skyline del financial district dell'isola di Hong Kong che s'illumina all'imbrunire, o che s'incendia di fuochi d'artificio per celebrare l'inizio dell'anno del Dragone, è d'indubbio fascino anche se si beccano due giorni di grigio e nebbia come è successo a noi.
Tuttavia, io continuo a preferire quello di Singapore ma sono problemi miei. L'unico grattacielo che ho trovato molto più interessante del gruppetto dei soliti noti di HK, non se lo fila nessuna guida, ma pazienza.

Per il resto la città è molto più cinese di quanto mi aspettassi. Purtroppo, la comunicazione con i locali è scarsa.
L'inglese è parlato ma male, cosa che mi stupisce molto, e, per quanto riguarda il cinese, noi siamo fluent in mandarino e loro in cantonese quindi non c'è molto understanding.
Non sono gentilissimi, ma noi siamo abituati ai Taiwanesi che lo sono anche troppo. Quindi, forse, gli Hongkonghesi sono semplicemente normali e, abituati alla convivenza con caucasici, non fanno le riverenze ad ogni nostro passaggio.
Ma si mangia molto meglio che a Taipei. Finalmente della cucina cinese decente con piatti di noodles e di ravioli al vapore che ti riconciliano con la gastronomia locale.
Girando, siamo comunque riusciti a scovare un posto dove ti servono zuppa di serpente (lo deduci da una serie di recipienti di vetro dove sono conservati i rettili) ma credo che questo tipo di ristorazione sia piuttosto un settore di nicchia.

Di edifici coloniali non ne rimangono molti, ma in compenso c'è un'infinità di centri commerciali dove si trova di tutto e di più. Per strada, all'ennesimo indiano che ti si avvicina proponendoti vestiti su misura oppure fake watches and bags, vorresti solo poter acquistare un'arma per potergli sparare, ma anche questo fa parte dell'atmosfera di una città, comunque, molto affascinante, come nel film In the mood for love, a cui fa da cornice.
Non per niente in albergo, la mattina, diffondevano sempre
Nat King Cole. Peccato che fra All-Star, jeans e capelli indemoniati mi riuscisse difficile identificarmi nella protagonista del film, così meravigliosamente elegante. 

Ieri pomeriggio, eravamo già di ritorno a Taipei. Per ore mi sono pregustata il momento in cui avrei rivisto Ming che mi sarebbe corso incontro per poi saltarmi in braccio e abbracciarmi.
Mi è effettivamente corso incontro ma solo per precipitarsi sul mio trolley e poterlo spingere in giro per la casa.
Non so, forse sto sbagliando qualcosa.

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