Da segnalare



Taipei grows on you, ci dicono spesso due amici israeliani, sostenendo che, di questa città, ci si innamora lentamente. Nel loro caso, è una vera e propria love story, visto che hanno scelto di stabilirsi qui a tempo indeterminato e in un quartiere che trovo, per di più, veramente deprimente.

Nel mio caso, si tratta, più semplicemente, di un'amicizia che si rafforza con il tempo. Siamo ben lontani dalle sensazioni intense che provo quando cammino per le strade di Londra, New York, Tel Aviv e, persino, Milano.

Tuttavia, bisogna aver pazienza e curiosare. Noi stiamo cercando di farlo ed il week-end scorso abbiamo scoperto due posti che mi hanno colpito per la forma e l'atmosfera.
Due siti industriali dismessi e riconvertiti : Huashan, una vecchia distilleria di wine rice, costruita nel 1914, e Songshan, una ex fabbrica di tabacco del 1940.

Meno male che c'è stata la rivoluzione industriale perchè ci ha lasciato, persino qui, delle belle architetture che possiamo riutilizzare anche oggi, con scopi completamente diversi.
Mi chiedo che cosa lasceremo noi, se sopravviverà qualcosa di quello che stiamo costruendo oggi. Ai posteri l'ardua sentenza.

Entrambi i siti sono infatti, da poco, sedi di gallerie, di eventi culturali e di curiosi ristoranti e caffè.
Songshan, in particolare, ospita il Taiwan Design Museum che ho visitato domenica mattina, divincolandomi fra centinaia di taiwanesi determinati a vedere tutti i padiglioni che hanno ospitato, per un mese, anche la World Design Expo.

Quando sono arrivata, c'era una coda lunghissima all'ingresso, che ho dedotto fosse per i biglietti. Una tipa dello staff mi ha invece detto che l'ingresso era free e che la coda era per ritirare la bottiglietta d'acqua in omaggio e la brochure informativa. A me la cosa sembrava folle ma alla tipa, invece, è sembrato più assurdo che io non volessi l'acqua : A(l)e you su(l)e ? No wate(l) ? No, grazie, piuttosto disidratata !
Come se poi entrassimo in un safari in mezzo al deserto. All'interno del sito, ci saranno stati almeno cinquanta posti, fra bar e distributori automatici, dove recuperare dell'acqua.

Però, per un'italiana, assistere ad una manifestazione di tale disciplina e pazienza ha del fantascientifico.
Le code si sono riproposte anche ai singoli padiglioni, ai bagni, agli stand. Ho cercato di fare la furba ed evitarle (usando la mia creatività italiana per dei possibili escamotage) ma non ci sono riuscita. Alla fine ho ceduto e mi sono messa in coda anch'io. Ma se la coda è fatta bene, scorre veloce e la sofferenza è limitata.

Ho incrociato numerose famiglie con bambini, studenti con i brufoli, artistoidi vestiti di nero, anziani. Tutti armati di macchina fotografica e ansiosi di vedere, di leggere e di conoscere. Tutti composti ed in silenzio. Nessun vociare, nessuna parolaccia (o per lo meno io non le capisco). Un clima sereno, insomma.

La mostra è allestita con cura ma, come spesso in questi casi, bisognerebbe poterla vedere con più calma. La sezione sulla storia del design made in Taiwan è curiosa, dalle scarpe dei contadini con la forma delle dita, ai computer di ultima generazione.

Ci tornerò.




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