Il passaporto
Mercoledì mattina abbiamo fatto un salto in Italia e in Israele per fare il doppio passaporto a Tommaso.
Al piano diciottesimo dell’International Trade Building che ospita quasi tutte le rappresentanze ufficiali dei paesi esteri, in uno stanzino spartano con sparpagliati qua e là dei depliant sul Mar Morto, una signorina molto gentile ed efficiente ha risolto la cosa in un quarto d’ora, consegnandoci il passaporto nuovo di zecca.
Poi siamo andati al trentaquattresimo piano, dai miei concittadini, e lì la cosa si è fatta, ovviamente, più lunga.
Intanto, per poter essere ricevuti, ho dovuto prendere appuntamento anche se l’ufficio è sempre vuoto.
Ad ogni modo, nella remota ipotesi che non fossimo l’unica pratica della mattina, mi sono attenuta alle regole e ad attenderci dietro lo sportello c’erano due ragazze taiwanesi, di cui una preposta ai passaporti e l’altra ai visti. Entrambe estremamente gentili ma completamente italianizzate, non solo nell’eccellente padronanza della lingua con anche leggera inflessione toscana ma soprattutto nei modi. Evidentemente, com’è loro abitudine, devono essersi messe d’impegno nell’assorbire i caratteri distintivi del tipico funzionario pubblico italiano e quindi : verifica meticolosa dei documenti presentati alla ricerca del minimo errore che potesse giustificare il nostro congedo immediato, consultazione con il capo, un uomo di mezza età appena approdato a Taipei da Roma di una tristezza infinita e poi, alla mia richiesta di rinnovo del passaporto di Matteo un “eh ma per questo dovete tornare a marzo perché va fatto sei mesi prima …” Ma fra due giorni è marzo ! “Va bene, dai, ve lo faccio lo stesso.” Dai, proprio come a casa ! Secondo me, lo fanno apposta per non spaesarti. Così hai la certezza che, nonostante la distanza, il tuo paese natio non è cambiato e che, quando tornerai, lo ritroverai esattamente come lo hai lasciato.
E allora mentre l’una mi faceva compilare i soliti moduli, l’altra, quella dei visti, che non aveva nulla da fare, si lamentava che fossero sotto organico. Ma perché che non c’è mai nessuno qui ? Poi, cosa rarissima, è entrato un altro tizio che, rivolgendosi a lei per un banale quesito, è stato subito rimbalzato : “No, non sono io che me ne occupo. Deve chiedere alla mia collega …”, sparita, nel frattempo, con i nostri papiri nel retrobottega.
Mezzora dopo, la collega, quella dei passaporti, è sgusciata fuori da una porta, comunicandoci che : “devo andare in bagno ma torno subito.” In un ufficio taiwanese non sarebbe mai successo. Piuttosto si sarebbe fatta venire la cistite ma avrebbe prima terminato di evadere la nostra pratica.
Quarantacinque minuti dopo siamo stati congedati con, è ovvio, nessun passaporto in mano ma alleggeriti di 6000 e passa dollari taiwanesi, circa 160 euro, per, nel caso di Tommaso, diventare italiani e in quello di Matteo, continuare ad esserlo. Francamente, con i tempi che corrono, mi sarei attesa che lo Stato Italiano pagasse me per fare di mio figlio un nuovo cittadino. Ma forse il nuovo governo me li rimborserà …
Che profonda tristezza e immutabile e immarcescibile paese!
RispondiEliminaErrata corrige: "immarcescibile" è errato. Volevo dire inalterabile nel suo marciume burocratico.
EliminaCara Anna,ormai non ci sono più parole! Anche questo piccolo ( piccolo?) episodio è lo specchio di un paese. E' disperante. Anna C
RispondiEliminaInsomma, guardiamo il lato positivo.
RispondiEliminaSiamo uguali a noi stessi da almeno due secoli. Ci vogliono certezze in questo mondo in costante cambiamento.
Rinunceresti mai a un classico?
(io vi raggiungo appena posso eh)
C.