Ci risiamo



















Domani è già passata una settimana dalla nostra partenza all’alba in direzione Singapore. Mi sembra che siano trascorsi già due anni. Certo che il tempo vola quando ci si diverte.

Non vedo l’ora di essere su quell’aereo - diceva la mia testa quando invece il cuore sperava in un ennesimo rinvio di partenza. A un certo punto bisogna tapparsi il naso e tuffarsi anche se questa volta il trampolino era molto, ma molto alto. Alla fine meglio così anche perché non c’è cosa peggiore di quei giorni pre partenza quando sei bloccata fra un posto che non è più il tuo ed uno che non lo è ancora. Anche se Israele è e sarà sempre il MIO posto, la casa dove tornerò per restarci. Me ne sono innamorata dal mio primo viaggio, ormai più di vent’anni fa, e non ho cambiato idea. La Israele che conosco io, e dove trovo pace, è ben diversa da quella controversa che purtroppo spesso causa antipatia e fa arricciare il naso.
La mia Israele è quella che spero un giorno trovi il coraggio, come sta succedendo recentemente il sabato sera nelle piazze di Tel Aviv e Gerusalemme e sui cavalcavia delle autostrade, di alzare la testa e condurre questo paese verso un’esistenza serena e pacifica.

A Singapore ci porta, come sempre, il lavoro di Ido e dunque l'opportunità per noi di fare una terza esperienza nel sud-est asiatico, in un posto che, diciamolo, è sempre stato nella nostra lista dei desideri da quando ci siamo venuti la prima volta in volo da Taipei dove vivevamo. A Matteo che allora aveva più o meno un anno era venuta una forte tosse e l’abbiamo fatto vedere da un pediatra nell’ospedale vicino all’albergo. Venendo da Taiwan dove, parliamo di dieci anni fa, la comunicazione era faticosissima, poter conversare con un medico che rispondeva a tono alle nostre domande e che ci prescriveva dei medicinali conosciuti invece di strane pozioni con ingredienti in cinese che avevano spesso un effetto allucinogeno su Matteo, ci aveva talmente galvanizzato da dire a Iduzzo: Io mi voglio trasferire qui. Be careful of what you wish for, si dice in inglese.

Del resto potevamo mai noi, globetrotter di un certo livello, farci mancare quest’esperienza che vale da sola come cinque traslochi nell’era pre Covid-19?
Se aveste dei dubbi, vi posso dire che un trasloco internazionale durante una pandemia non è complicato, è un incubo soprattutto se la destinazione finale è un paese organizzato come Singapore
Ho scoperto che il trucco per sopravvivere senza perdere il sonno o la testa era quello di far finta di giocare a un gioco in scatola come il Covid-19 che la Ravensburger lancerà a Natale, dove hai una meta da raggiungere e tutta una serie di carte ostacoli che possono ritardare se non impedire il tuo viaggio. Se però peschi la carta TEST POSITIVO, come in quello dell’Oca, devi ripartire dal via.

A questo punto noi abbiamo già superato l’ostacolo "Autorizzazione a partire" che ci è stata concessa e poi annullata diverse volte dal governo di Singapore per delle quisquilie burocratiche e una lungimiranza che ho capito già essere un punto di forza di questa isoletta hippy and liberal - del tipo il permesso ve lo diamo oggi però dovete arrivare domani -, e l’ostacolo "Trova il volo se ci riesci", impresa complicatissima dato il ridottissimo numero di voli, le scarse coincidenze e i posti limitati, almeno su certe compagnie. Nel corso delle ultime settimane ho pensato intensamente alla nostra amica svedese Greta che, caso strano, non si fa più sentire da quando si è scatenato tutto sto casino. Ho provato a contattare Pierre Casiraghi per portarci in barca ma non mi ha mai risposto. E le canoe della Decathlon non reggono le lunghe distanze. 
Alla fine abbiamo trovato un volo Swiss, via Zurigo, che con solo altri 11 passeggeri a bordo, tipo bus a fine corsa, ci ha portato a destinazione. 

Per due mesi, nella vana attesa di poter finalmente decollare, ci siamo spostati con 4 valigie, due trolley, due chitarre, il tappetino per lo yoga fra appartamenti in affitto e casa dei suoceri. Mi sono svegliata ogni giorno sperando da un lato che l’autorizzazione non arrivasse più e dall’altro che si ponesse fine a questo supplizio.
Iduzzo anticipava una domanda che non avevo mai coraggio di fare - No nessuna novità. Forse domani.
I miei amici non sapevano più cosa fare. Ad ogni messaggio incoraggiante da parte dell’azienda di Ido in contatto con le autorità singaporesi, veniva organizzato un ennesimo farewell. Baci e abbracci, in barba anche a sto maledetto Covid, mi mancherete etc e poi ci rivedevamo pochi giorni dopo. A un certo punto, secondo me e anche giustamente, non ne potevano più nemmeno loro. Sembrava la storia di Pierino e il lupo.

Venerdì all'alba è calato il sipario su tre anni meravigliosi e, per la prima volta, credo di aver pianto io più di mia suocera. Adesso, chiusa in albergo a scontare le due settimane di quarantena obbligatoria, mi rileggo i biglietti e i messaggi degli amici, mi riguardo le foto e riprendo a scrivere il mio blogghetto che ho trascurato per diverso tempo, impegnata su altri fronti a rincorrere la vita. A Ido ho detto che se fossimo partiti di nuovo, sarei andata in pensione per dedicare più tempo a me stessa e a preparare un libro di ricordi di questi anni in viaggio per Matteo e Tommaso.
Penso alla mia amica Fabi che recentemente mi ha detto - Annarella, io devo fare un po’ di ordine fra tutti i tuoi numeri perché non si capisce più nulla. Ho Anna Taipei, Anna Canada, Anna New York, Anna Shanghai, Anna Israele. Ieri mi ha scritto: E mo? Dove ti chiamo? Devo aggiungere Anna Singapore!

Commenti

Post più popolari