Quitaipei
Cari amici di quitaipei, soprattutto voi fedelissimi che, per delle ragioni ancore oscure, mi seguite dal primo post 'L'approdo' di quel lontanissimo febbraio del 2011 quando stavo ancora meditando la fuga da quella che sarebbe diventata la mia vita da nomade perenne o, come è sempre chic dire, da expat, oggi è un giorno importantissimo perché dopo 3 anni e mezzo sono tornata proprio laddove è cominciato tutto : Taipei.
E chi se lo sarebbe mai immaginato anche solo un anno fa quando, ancora ignara degli ennesimi stravolgimenti, gironzolavo tranquilla per le strade di una Nuiok preautunnale, convinta ormai che l'Asia ed io fossimo ormai una storia conclusa.
E se, sei anni fa, qui mi sentivo un pesce fuor d'acqua e trovavo Taipei, nel complesso, una città relativamente orrenda, oggi, appena atterrata, mi sono sentita in Svizzera un po' come uno straniero che vive a Milano ma trascorre qualche giorno a Lugano.
Sono sincera, Shanghai è una città decisamente più bella e scenografica ma, per me ci sono delle cose a cui è ancora difficile abituarsi e che qui, invece, non sembrano essere un problema, anzi.
Dall'aeroporto all'albergo abbiamo preso Uber e, quasi con le lacrime agli occhi, ci siamo resi conto che è possibile inserire sul cellulare le due informazioni base, ossia punto di partenza e destinazione, in pinyin o addirittura in inglese senza spaccarsi la testa a trovare gli indirizzi corrispondenti in cinese, copiarli ed incollarli per poi scegliere quello giusto in un lungo elenco a comparsa sullo schermo del telefono, cosa che poi comporta fare uno screen shot e ritradurlo con una perdita di tempo che, spesso, supera la durata del tragitto quando, finalmente, il taxi arriva.
E se, sei anni fa, qui mi sentivo un pesce fuor d'acqua e trovavo Taipei, nel complesso, una città relativamente orrenda, oggi, appena atterrata, mi sono sentita in Svizzera un po' come uno straniero che vive a Milano ma trascorre qualche giorno a Lugano.
Sono sincera, Shanghai è una città decisamente più bella e scenografica ma, per me ci sono delle cose a cui è ancora difficile abituarsi e che qui, invece, non sembrano essere un problema, anzi.
Dall'aeroporto all'albergo abbiamo preso Uber e, quasi con le lacrime agli occhi, ci siamo resi conto che è possibile inserire sul cellulare le due informazioni base, ossia punto di partenza e destinazione, in pinyin o addirittura in inglese senza spaccarsi la testa a trovare gli indirizzi corrispondenti in cinese, copiarli ed incollarli per poi scegliere quello giusto in un lungo elenco a comparsa sullo schermo del telefono, cosa che poi comporta fare uno screen shot e ritradurlo con una perdita di tempo che, spesso, supera la durata del tragitto quando, finalmente, il taxi arriva.
Senza contare che, nonostante il servizio Uber si basi sull'utilizzo di un GPS che permette all'autista di capire al volo dove si trovi il cliente, a Shanghai, il taxista ti chiama sempre per sincerarsi che tu sia proprio dove gli hai detto di venire. La conversazione è solo ed esclusivamente in cinese e, pertanto, alquanto inutile soprattutto se ti rendi conto di avere, dall'altro capo del telefono, una come me che non parla la tua lingua e te lo dice anche.
A questo punto, solo qualche settimana fa, disperata allungavo il telefono al primo cinese che mi trovavo vicino, implorandolo a gesti di spiegare al taxista dove fossi. Solo che lo scambio al telefono fra i due connazionali poteva durare anche quindici minuti per dirsi cosa, non si sa. Attendevo paziente quell' HAO conclusivo ma li avrei entrambi mandati di nuovo nelle campagne a raccogliere patate come aveva fatto Mao ai tempi. Adesso, più scafata, rispondo al telefono con tre parole secche che dovrebbero significare IO MI TROVO QUI, chiudo con un HAO MA ? e riattacco. A volte arriva, a volte è il taxista a cancellare il servizio.
All'aereoporto di Taipei, Uber è arrivato subito, il taxista ci ha chiamato per sapere, giustamente, il numero dell'uscita e, a grande sorpresa, parlava anche due parole in croce in inglese, ci ha ringraziato per essere tornati a visitare la sua città ma, soprattutto, non ha scaracchiato dal finestrino a fine corsa. Sono sottigliezze, lo so, ma fanno piacere.
Nel breve tragitto fino all'albergo, mentre guardavo fuori con il naso appiccicato al finestrino, la sensazione era quella di non essere mai andata via. Tutti i miei riferimenti erano ancora lì dove li avevo lasciati e trovavo ciò molto rassicurante. Per non parlare di Internet, così veloce che i siti mi si aprivano solo a pensarli, senza acrobazie varie e ricorso a Vpn oppure a congiunture astrali favorevoli allo scaricamento dei video.l
Se sei anni prima da questo posto sarei scappata volentieri, adesso era come tornare a casa e, nonostante di tempo ne fosse passato, ripercorrere certe strade, riconoscere posti familiari dove ho trascorso tre anni della mia vita, riabbracciare amici che ne sono stati i protagonisti, aveva un forte potere tranquillizzante.
Finalmente, dopo mesi passati a guardare avanti, a cambiare posti e lingue, a lasciarmi indietro amici, in una costante accelerazione verso non si sa bene ancora quale traguardo, tornavo indietro verso un luogo significativo (mi è nato anche un figlio) che, talvolta, mi sembrava non fosse mai esistito.
La più grande soddisfazione, comunque, me l'ha data Matteo a cui abbiamo cominciato a chiedere, sin dalla restituzione dei bagagli, se si ricordasse questo o quello. Ad un certo punto, si è fermato e guardandomi negli occhi, quasi ad implorarmi di tacere : "Mamma I dont remember anything !"
Bene, da domani, cominciamo il ripasso.
Che bel pezzo! Hai trasmesso vividamente le tue sensazioni...e questa Taipei inizio ad apprezzarla anche io a migliaia di km!
RispondiEliminaAh, e Matteo è un Mito. Definitely!
Grazie ! Guarda ti capitasse mai di avere una manciata di giorni liberi, vai a Taipei senza alcun dubbio :-)
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