L'approdo
E’ passata più di una settimana dal nostro approdo a Shanghai. Mi sembra di essere qui da mesi.
Nuiok non mi manca tanto come pensavo perché, in fondo, sono ancora convinta che si tratti solo di un sogno.
Adesso mi sveglio e sento di nuovo il rumore del traffico e delle sirene delle ambulanze che sembra attraversino la mia camera da letto sulla 86ma strada. Poi guardo fuori e vedo il cielo blu terso, frizzante che tanta energia mi ha sempre dato la mattina.
Nell’attesa che questo accada, mi vivo il sogno anche se un po’ a fatica.
Ad attenderci, dopo un volo di tredici ore da Tel Aviv dove abbiamo trascorso una parte della nostra transizione da ovest verso est, un cielo blu molto sospetto che qui è conosciuto come Blu G20 perché ripulito appositamente dal governo locale, attraverso la chiusura di diversi impianti industriali nelle vicinanze, per accogliere i principali leader politici in occasione del G20 di settembre. Una volta chiuso il congresso, il cielo tornerà color topo ed il livello di inquinamento si alzerà di nuovo ma nessun allarmismo perché, la mattina, si potrà controllare sul proprio telefono l’AQI (Air quality index) e decidere se mettere il naso fuori oppure accendere il purificatore in casa. Io trovo tutto ciò semplicemente meraviglioso. E poi, rispetto a Pechino, Shanghai ha l’aria molto meno inquinata quindi abbiamo scelto giusto. E abitiamo anche al nono piano e vicino ad un parco quindi, no, non moriremo.
La prima forte sensazione che ho avuto, non appena emersa dall’aeroporto, è stata quella di aver fatto un salto indietro nel tempo come se questi quattro anni in America non ci fossero mai stati.
Tante le analogie con Taipei, gli stessi tratti somatici, il caldo umido che arriccia i capelli a tutti tranne che ai locali, l’odore di brodo, lo starnazzamento incomprensibile e gli ombrelli aperti anche quando c’è il sole. Elementi, da un lato, familiari e rassicuranti "in fondo non è un posto così nuovo", dall’altro decisamente inquietanti, “Oh Madonna ci risiamo !"
Abbiamo preso un appartamento in un complesso residenziale, o compound, nel cuore di Xintiandi, una zona centrale della città moderna e vivace che mi ricorda molto, per certi versi, Xinyi, il nostro quartiere di Taipei.
Mi deve avere ispirato il termine “Xin”, che se non mi ricordo male significa “nuovo”, cosicché, già a maggio in occasione della famosa Discovery Trip, avevo deciso di vivere proprio qui, nonostante la discreta distanza dalla scuola dei bambini.
Anche lo stile dell’edificio dove abitiamo mi ricorda molto quello di Taipei, anche se i cessi non sono di ultima generazione e quindi non hanno nè il sensore chiappe che regola l’apertura automatica nè lo spruzzino d’acqua calda come valida alternativa alla carta igienica. Insomma un passo indietro.
In compenso, in un appartamento decisamente più piccolo, abbiamo due frigo identici, uno di fianco all’altro, ed una lavatrice che, i primi due giorni, mi ha dato del filo da torcere perché munita solo di indicazioni dei programmi in cinese.
I portieri, difficilmente distinguibili gli uni dagli altri, non parlano una parola di inglese per cui la comunicazione è quel che l’è e, per il momento, si limita solo a tanti NI HAO (Buongiorno) e XIE XIE (Grazie).
L’altro giorno aspettavo una consegna dell’Ikea, sono scesa in portineria per chiedere se fosse arrivata mentre ero fuori. Mi sono ritrovata a contorcermi per mimare un pacco, continuando a ripetere inutilmente IKEA, IKEA, IKEA che tanto qui si dirà in un altro modo, fino a quando madida di sudore e davanti allo sguardo impassibile e tonto del l’esemplare in questione, mi sono data per vinta e sono risalita smadonnando in ascensore. Oh, Elliot, Elliot, where are you ??
Lo sforzo maggiore lo facciamo, però, con i tassisti. Perché, a differenza di Taipei dove la gente è gentile e si fanno in quattro per cercare di capirti (una volta un tassista ha fermato un giovane ragazzo per strada, che parlava inglese, per essere sicuro di avere capito dove volessi andare) qui ti schifano a priori.
Molti non si fermano nemmeno quando ti vedono, altri non capiscono mai la destinazione e se gliela mostri sul cellulare, si lamentano che i caratteri sono troppo piccoli, che non sanno leggere fino a farti spazientire, rischiare l’aggressione fisica e farti uscire dal taxi dopo un’assurda perdita di tempo. Tutto ciò, ovviamente, al caldo perché, io credo per consumare meno, sono restii ad utilizzare l’aria condizionata quando la temperatura esterna sfiora, come in questi giorni, i 40 gradi. Non credo si tratti di ecologisti ma è anche possibile che il governo cinese abbia sollecitato the people of China ad utilizzare meno i condizionatori per migliorare le condizioni dell’aria. Ad ogni modo muori comunque, o di caldo, o di tumore ai polmoni.
La tassista peggiore è stata però proprio una donna che ci ha caricati, pieni di sacchetti, fuori dal Carrefour di Hongquiao, avamposto expat e dove si trova, per l'appunto, anche la scuola. Ha atteso sacramentando che Iduzzo riempisse il bagagliaio, mentre i bambini ed io eravamo già posizionati sui sedili posteriori, poi, non appena ha sentito il portellone chiudersi, ha urlato “HAOLE (OK)”, ingranato la marcia ed è partita di gran carriera.
Ho visto Iduzzo dimenarsi sul marciapiedi e, ridendo fra me e me, le ho intimato di fermarsi e di recuperare WODE XINSHENG (mio marito). Ha inserito, grattando, la retro e, sempre farneticando nel suo idioma, è indietreggiata a recuperare quello che deve avere scambiato, giustamente, per un garzone del supermercato.
Ma io ho ormai messo a punto la mia tecnica salva tempo e nevrosi. Quando prendo un taxi non do mai l’indirizzo esatto ma, più o meno, un riferimento, vicino alla destinazione finale, di cui sappia pronunciare il nome o che sia, per esempio, una fermata del metro e quindi facilmente riconoscibile.
Poi quando arrivo nelle vicinanze, se motivata, lo indirizzo io, tirando fuori i miei ZOU (SINISTRA), YOU(DESTRA), altrimenti, se scazzata, scendo, facendomi poi qualche metro a piedi.
Un po’ come se, a Milano, per venire a casa mia dicessi al tassista : DUOMO. In fondo si tratta poi di coprire poco più di un chilometro.
Per il resto, l’organizzazione della vita quotidiana mi sembra procedere più velocemente di quanto pensassi.
I bambini hanno già iniziato la scuola, a cui dedicherò un post a parte, ma che, fortunatamente, sembrano adorare, ho già trovato una filippina che è stata assunta solo per il fatto di parlare inglese, la spesa si fa online perché, un po’ come ai Taipei e almeno nella mia zona, scarseggiano i supermercati dove sai quello che compri e quei pochi che ci sono ti vendono la mozzarella al prezzo del caviale.
Mi rimangono solo un paio di acquisti in sospeso, la cisterna dell’acqua potabile perché, ovvio, quella del rubinetto è contaminata, e le mascherine per quando il livello di inquinamento è alarming.
Ok adesso schiocco le dita e mi risveglio nel mio amato Upper West Side.
L'acqua del rubinetto è inquinata? I can't believe it! Nel 2016?
RispondiEliminaSono diverse le cose "I can't believe it" da queste parti ...
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