Il punto
Ho avuto un momento di sbandamento quando mi sono seduta davanti al computer determinata ad aggiornare il blog e quindi la cronaca della nostra vita 8.0 qui a Singapore. Ma cosa abbiamo fatto da aprile 2021 fino ad oggi? Il buio; mi ricordavo solo le vacanze estive perché dopo due anni siamo finalmente tornati a viaggiare più o meno come prima. Nel nostro caso poi ci siamo proprio impegnati a recuperare il tempo perduto prendendo undici aerei fra disguidi vari e rotte assurde. Ma Anna perché per andare in Canada da Israele ripassi da Singapore? Non lo so ma credo sia perché devo tagliarmi i capelli e comprare i vestiti ai ragazzi perché in Canada andiamo andiamo ad un matrimonio.
Non avevo idea che, causa ritardi e caos all'aeroporto di Tel Aviv, i ragazzi ed io avremmo perso la coincidenza per Singapore a Istanbul, trascorso una giornata in un albergo sperduto nella periferia della capitale turca nell'attesa di imbarcarci per Manila e da lì arrivare finalmente a casa. E Ido? Resterà il mistero dell'estate ma Ido che ci aveva raggiunto a Tel Aviv proprio perché rientrassimo tutti insieme, per un presunto errore di booking della sua assistente, ha preso lo stesso volo ma il giorno dopo, però, senza ritardi e grazie a due dritte che gli ho dato - vai in aeroporto almeno 5 ore prima - perché sono una bella persona, è riuscito ad arrivare a Singapore mezza giornata prima di noi.
Quando ero in coda in piena notte allo sportello della Turkish Airlines con i miei figli stanchi, nervosi e anche un po' spaventati dalla situazione, mi sono resa conto di come quando mi trovo in aeroporto il pianeta terra assuma delle dimensioni molto più ridotte. In quel momento speravo solo di trovare un qualsiasi volo che mi potesse riportare nell'emisfero delle bacchette perché poi una volta lì era fatta, ero a casa: Tokyo, Hong Kong, Seoul ma anche Ulanbator andavano tutte bene. Quando mi hanno confermato Manila, poco importa che allungassimo un viaggio già lungo di per se di un altro paio d'ore, io ho esultato.
La stessa cosa mi è successa nel 2001 a New York quando erano appena cadute le Torri Gemelle ed io ero lì a trovare Iduzzo che stava facendo un master alla Columbia University. Avevo perso il volo di ritorno a Milano per un guasto tecnico dell'aereo per fortuna individuato in tempo ed io, ancora giovane e spericolata, invece di rifiutare di imbarcarmi e tornare in nave oppure decidere di rimanere e costruire il mio futuro negli States, speravo anche solo di trovare un volo per il Portogallo. Da lì a Milano, è un attimo.
La sfida con il Covid l'abbiamo persa in Israele dopo solo un giorno dal nostro arrivo. Lui era lì che ci aspettava al varco già in aeroporto che forse ancora non si dava pace che gli fossimo sfuggiti a marzo quando Ido lo aveva preso e portato a casa dalla Malesia.
Lui era stato prontamente isolato in una stanza da cui aveva il divieto di uscire pena la separazione mentre io come ho sentito infilarsi nel letto di fianco a me Matteo bollente di febbre e con il mal di testa ho capito che non mi sarei salvata. La notte successiva è entrato nel letto anche Tommaso. Il giorno dopo si è ammalata anche mia suocera che però se non altro non è entrata nel mio letto.
Al quarto giorno l'ho preso io che non ho potuto nemmeno godermi il privilegio dell'isolamento servita e riverita perché dovevo fare l'infermiera.
Purtroppo, ai domiciliari per una settimana abbondante, anche se in Israele ormai infetti e non giravano per strada liberamente e i kit per testarsi ormai infilati di fianco a quelli di gravidanza sugli scaffali delle farmacie, ho perso l'occasione di rivedere molti amici che, quando mi sono ripresa, sono partiti in vacanza.
Insomma Israele mi ha accolto con uno schiaffo dopo che per due anni non vedevo l'ora di tornarci. Avevo l'illusione di riprendere il filo da dove si era interrotto quando, con il cuore a pezzi, eravamo partiti per Singapore. Ma quel capitolo di vita e di quotidianità che era durato tre anni e che mi ero goduta moltissimo si era concluso. Gli amici di una volta non c'erano più, nella casa che avevamo in affitto ci abitava qualcuno altro e a chi mi chiedeva incuriosito: Do you live here?, dovevo rispondere che no, non più. Succede sempre così quando torno in un posto dove ho vissuto e in più con Israele ho un rapporto particolare perché dalla prima volta in cui ci ho messo i piedi, più di venti anni fa, mi sono subito sentita a casa. Vorrei poter riaccendere le luci su quel set e far tornare tutto come prima, come se la vita fosse una cipolla con tanti strati sovrapposti. La transizione fra uno e l'altro continua ad essere per me una sfida difficile ma, con il tempo, sto imparando ad affrontare quelli nuovi con più curiosità che paura. Mi impegnerò dunque anche a staccarmi da quelli vecchi con meno strascichi e illusioni ma un taglio netto. Singapore sei avvertita.
Ok e l'estate te la ricordi bene. Ma prima del tour estivo 2022 che cosa hai combinato a Singapore per più di dodici mesi dall'ultima volta che ti sei sprecata a scrivere quel post striminzito sui Peranakan?
Per rispondere a questa domanda considerando anche l'età che avanza e la memoria che regredisce, mi sono aiutata con la grafica. Anche perché la mia vita, a differenza di quella di Iduzzo e dei ragazzi, è più caotica e destrutturata quindi facile perdersi i pezzi. Avevo già fatto un giochino di questo tipo dopo il primo anno a Singapore per dimostrarmi e dimostrare quante micro e macro opportunità ci sono offerte per dare un senso alle nostre giornate, soprattutto quando nel mio caso si deve spesso ricominciare tutto da capo in un posto nuovo, senza riferimenti o appigli.
Qui a Singapore, coaching, scarabocchi e tennis sono così diventati il mio nuovo modo di impiegare il tempo. Continuo sempre ad occuparmi di crescere i miei figli in modo che da adulti creino pochi problemi a se stessi ma soprattutto agli altri, e di un Iduzzo un po' sconsolato dagli anni che aumentano e dai capelli che diminuiscono.
Nell’agosto 2021 ho completato un training di sei mesi per ottenere la certificazione da life coach, un obiettivo che mi ero posta da diverso tempo ma che avevo rimandato per dare la priorità ad altre cose. E così adesso aiuto gli altri a raggiungere i propri, magari in tempi più brevi dei miei, attivando quelle risorse di fiducia in se stessi, determinazione ed energia di cui spesso, io per prima, pensiamo di essere sforniti.
E dopo che per tanti anni avevo messo via pennarelli e matite, mi sono rimessa a disegnare. E’ successo improvvisamente. Una mattina, mi ero appena trasferita nel nostro nuovo appartamento di Singapore ed ero immersa negli scatoloni da svuotare, quando svuotando la borsa mi sono ritrovata in mano il quaderno di Muji con la copertina grigio nera su cui annoto cose da fare, pensieri, idee e spunti, sono andata a sedermi fuori in terrazzo e ho cominciato a schizzare la città davanti a me. Per un’oretta ero talmente assorbita da quello che stavo facendo che mi sono dimenticata di tutto il resto. E’ stata una sensazione bellissima, credo che si chiami flow e non ho più smesso.
E poi un giorno ho trovato la mia vecchia, anzi vecchissima, racchetta da tennis, se non sbaglio un ultimo regalo di mio nonno, quindi avrò avuto 15 anni, e mi è tornata la voglia di giocare. Ho trovato Coach T su Google che quando io ero adolescente credo non fosse nemmeno un feto. Mi ha spiegato che nel corso degli ultimi trent’anni il tennis si è evoluto e anche le racchette e che se proprio non volevo disfarmi di quella del nonno che la facessi almeno riaccordare.
La settimana scorsa mi sono quasi convinta a concederle la meritata pensione.
Una manciata di giorni a Ho Chi Min City, ex Saigon, mi hanno fatto innamorare del Vietnam anche se visto che era in fondo il primo viaggio fuori Singapore alla scoperta di un posto nuovo, mi sarei probabilmente esaltata anche se fosse stata Pyongyang. Era più che altro la sensazione di tornare a fare quelle cose che la pandemia ci aveva tolto per così tanto tempo; la libertà di decidere dove andare, come e quando. Però il Vietnam è davvero un bel paese che spero di esplorare di più in futuro.
E Milano? Ecco, ci stavo arrivando ma volevo lasciarla per ultima apposta perché il rientro a casa nel novembre scorso dopo quasi due anni di assenza è stato emozionante ma anche molto impegnativo.
Già in condizioni normali quando vivi lontano da casa hai la sensazione che il tempo scorra solo per te e che quando ci tornerai troverai tutto e tutti come li hai lasciati salvo poi renderti conto che cosi non è e fare un po' fatica ad accettarlo e a riconnetterti a quello che in teoria dovrebbe essere l'ambiente in cui sentirsi più a proprio agio. Ancora peggio con una pandemia ancora in corso che aveva stravolto la mia città e la vita di chi mi sta a cuore. L'umore dentro e fuori casa era ai minimi storici ed è precipitato ulteriormente quando è arrivata l’Omicron, la variante di Natale. Tutti a casa, cene annullate, maschere EPGHLJHKCZ, quelle che sembri un tucano, di nuovo obbligatorie e il terrore di rimanere infetti e bloccati in Italia quando, ad un certo punto, volevo solo tornare a Singapore.
Alla fine la variante Omicron è arrivata anche li - l'avremo portata noi - e quindi ad inizio anno sono scattate nuove restrizioni. Per mesi siamo andati avanti a vederci solo in cinque, a farci buttare fuori da bar e ristoranti alle dieci di sera e a portare le mascherine anche in casa. Poi finalmente ad aprile ci sono stati i primi timidi segnali di un parziale ritorno alla normalità con l'abolizione di alcuni obblighi come quello forse più faticoso di registrarsi ogni volta che si entrava o si usciva da un luogo che non fosse casa propria.
Adesso che, mentre scrivo, non dobbiamo più indossare le mascherine se non sui mezzi pubblici e che la vita è tornata grosso modo alla normalità, sembra che si tratti di un passato ormai lontanissimo o forse solo di un brutto sogno. Ma sono stati mesi duri e difficili che, oltre ad essere dimenticati velocemente, spero ci abbiano comunque insegnato qualcosa di importante e non mi riferisco solo al fatto che il saluto con il pugnetto fosse demenziale.
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