Windstedt Road

Lo studio di yoga dove vado da un paio di settimane il giovedì mattina alle undici e mezza si affaccia sul ballatoio, al secondo piano, di una vecchia scuola ristrutturata al numero 10 di Winstedt Road a due passi dal food market di Newton, sulla linea rossa della metropolitana.
Per quasi un mese, subito dopo la quarantena in albergo, abbiamo abitato in un piccolo appartamento con le finestre che guardavano proprio gli alberi di Winstedt Road. Allora, però, non solo ne ignoravo il nome ma la trovavo anche una strada senza carattere e noiosa.
Ero ancora disorientata, frastornata e triste e nei miei occhi c’erano solo le immagini nitide di Tel Aviv e dei posti familiari che avevo abbandonato. Credo che avrei trovato deludenti anche gli Champs Elysées di Parigi.
Ho quindi sorriso quando ho scoperto che tre mesi dopo sarei andata proprio li, a Winstedt Road, a mettermi in Downward facing dog - cane che si stira - o, se vogliamo semplificare la cosa, Adho mukha svanasana che non è uno scioglilingua ma il nome in sanscrito di una delle posizioni più comuni dello yoga.

Del resto le coincidenze sono da sempre una componente fedele della mia vita e, nonostante la loro apparente casualità, credo che siano invece i simpatici segnali rivelatori di un giochino di cui sono la protagonista ma che non capirò mai fino in fondo.
Un po’ come lo yoga che a questo giro mi insegna Yintao, deliziosa donna minuta e tonica di Shanghai, che mi massacra con delicatezza. Lo yoga Iyengar che è quello che pratico richiede estrema precisione e coordinazione - perfetto per me - e quindi Yintao non perde occasione di avvicinarsi e correggere i miei errori procurandomi quello che lei definisce “good pain”. In un tentativo sincero quanto ridicolo di incoraggiarmi, dopo avermi stirato un muscolo o incrinato una vertebra, mi sorride dicendo che il problema è che sia io che lei abbiamo uno “stiff body type”, un modo gentile per dirmi che sono un legno; io sicuramente ma lei direi proprio di no.

Ho scoperto lo yoga Iyengar grazie alla mia amica Roza che, in Israele con l’ambasciata olandese, l’anno scorso ha deciso di ridurre gli impegni diplomatici per dedicarsi ad una nuova missione, quella di convertire me, il legno, allo yoga, dopo avermi vista in azione durante una delle lezioni di Yumi, altra carissima amica poliedrica e talentuosa. Gentilezza e tatto giapponesi avevano sempre impedito a Yumi di farmi qualsiasi appunto nonostante durante la sua classe, oltre a non concentrarmi su respirazione e posizioni, distraessi spesso l’intero gruppo con battute cretine.
Il problema fondamentale era che io lo yoga non l’avevo capito e quando una cosa mi sfugge, non mi interessa o mi spaventa mi rifugio nel sarcasmo. La verità è che mi sono sempre iscritta ai corsi di yoga più per la dimensione sociale, due chiacchiere con le amiche, che per trarne beneficio a livello fisico e mentale. Con l’unica eccezione di Taipei dove decisi di seguire un corso di yoga prenatale che poi scoprii essere in cinese dove non capivo nulla, non potevo comunicare e che sono sicura ha contribuito al carattere ansioso di Tommaso. Ma lo completai fino all’ultima lezione.

Roza però individuando in me, nonostante lo scarso impegno, le potenzialità di una vera yogina, un giorno mi ha detto: Anna scusa se te lo dico ma tu non ti applichi per niente. Non va bene. Vieni da me e ci penso io.
Scettica e ricalcitrante ho fatto con lei una prima lezione e poi, piano piano, complici anche i dolcetti che la sua mamma ci faceva trovare a fine sessione, ho scoperto che, tacendo e seguendo le sue istruzioni, mi sentivo finalmente davvero molto bene.
Era la prima volta che venivo introdotta allo yoga Iyengar, dal nome del suo fondatore, B.K.S Iyengar, morto a 95 anni e quindi una garanzia, che iniziò a praticarlo in India da ragazzino per risolvere seri problemi di salute e poi lo insegnò in Europa a partire dagli anni cinquanta.
Rispetto ad altri tipi di yoga come l’Ashtanga o il Vinyasa, l’Iyengar è più focalizzato sull’esecuzione precisa di ogni asana, o posizione, cosa che mi ha finalmente permesso di acquisire un maggiore controllo del corpo ma soprattutto di capire cosa faccio invece di agitarmi a casaccio sul tappetino. Sostanzialmente è un tipo di yoga più lento e meno massacrante degli altri ma che richiede comunque una buona dose di sforzo, coordinazione e concentrazione. Sono sempre un legno ma mentre in passato, in un momento di tensione o di difficoltà sarei ricorsa ad una vaschetta di gelato al cioccolato, adesso srotolo il tappetino e mi metto per qualche minuto nella posizione del bambino stanco o Child’s pose cercando di concentrarmi esclusivamente sulla respirazione e scacciando qualsiasi pensiero negativo o stupido. Ultimamente ci riesco abbastanza bene e comunque, in caso contrario, so di poter sempre contare sulla holdaspoonoficecreamasana o posizione del cucchiaio di gelato.



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