Nuovo anno, nuova vita ... ma anche no !
Il nuovo anno per me è iniziato ufficialmente mercoledì, giorno di riapertura della scuola. Alle 7.28 ho fatto il conto alla rovescia all'arrivo dello schoolbus, quando le porte si sono chiuse e l'autista ha pigiato sull'acceleratore, ho stappato una bottiglia di champagne, sparato i fuochi e fatto il trenino con i passanti vicino alla fermata.
In barba ai festeggiamenti canonici spesso obbligati, a quei "allora tu cosa fai per Capodanno?" che di solito implica che se non fai nulla sei uno sfigato, ai cenoni con le lenticchie fredde in attesa che le lancette si inseguano fino alla mezzanotte, ai fuochi d'artificio in diretta dal mondo intero, noi abbiamo lasciato Milano, qualche giorno prima di congedarci dal 2017, per rientrare nell'unico paese al mondo in cui del capodanno non gliene frega nulla a nessuno. E così io il 31 dicembre alle ore 22.10 già ronfavo sul divano.
In Israele, infatti, ufficialmente, e da settembre, si è entrati nel 5778, altro che Blade Runner 2049, anche se per farsi una doccia calda bisogna ancora accendere lo scaldabagno almeno mezzora prima e i bagagli si legano sul tetto con la corda. Poco importa che si faccia tutti comunemente riferimento al calendario gregoriano per mandare avanti la baracca, qui non si contano gli anni dalla nascita di quel profeta no global concepito dallo Spirito Santo e partorito in una capanna. Come ho spiegato nel post L'anno che verrà di qualche tempo fa, nel mondo ebraico gli anni si contano dalla presunta data di creazione del mondo indicata nella Bibbia.
Io poi mi considero ufficialmente ancora nell'anno cinese del Gallo e quindi fino a metà febbraio tutto rimane come prima. E speriamo che davvero così sia. Ho quasi paura a scriverlo, dirlo e addirittura a pensarlo ma, forse, per la prima volta da tre anni a questa parte, non dovrò fare gli scatoloni la prossima estate.
Ai dodici mesi futuri guardo con entusiasmo per una serie di progetti che sto mettendo in pista e che spero spicchino il volo e, ovvio, non possono mancare i buoni propositi come quello di essere meno buona, di mangiare come mi aggrada, di bere un bicchiere di vino rosso ogni sera, di fare quello che mi piace, di non perdere tempo con persone inutili e di vivere alla giornata. L'unico forse un po' troppo ambizioso, quello di dedicarmi alla cucina, ma mi piacerebbe che un giorno i miei figli avessero un piatto preferito diverso dalla minestrina in brodo.
Mi congedo, invece, con un pizzico di nostalgia da questo 2017 che come anche gli anni precedenti e nonostante gli scombussolamenti, credo di aver vissuto intensamente succhiando tutto quello che aveva da offrirmi.
Sarà ovviamente ricordato come l'anno di Shanghai, della Cina, e di quella che è stata una breve ma intensa ed eccitante esperienza in una città che mi ha conquistata per dimensione e contrasti, dall'omino in bicicletta all'ultima torre avveniristica di Pudong.
Sono spesso assalita dal Mal di Shanghai. Mi manca quella inebriante sensazione di sentirsi un puntino perso fra la folla. Mi mancano le quotidiane esplorazioni urbane in motorino, l'incomunicabilità sempre risolta con un sorriso, le piccole attenzioni nei negozi come quando fuori piove e ti coprono il sacchetto della spesa con un cellophane, i massaggi ai piedi, i mercati, Muji, le amicizie. E' incredibile come il mio cervello abbia invece rimosso inquinamento, sputi e connessione ad internet a vapore.
Rimedio a questi attacchi di nostalgia bevendo acqua calda, ostinandomi ad andare da estetiste cinesi che, spesso, però, si sono reinventate tali all'estero e non hanno la stessa delicatezza delle compatriote. Quando mi imbatto in qualche povero sventurato dagli occhi a mandorla lo strapazzo con manifestazioni di entusiasmo anche eccessive, rivolgendogli stupide frasi in un cinese ormai più che striminzito. A Milano ho tediato per un buon quarto d'ora le proprietarie di un negozietto di cianfrusaglie a Chinatown con domande di cui ovviamente non capivo le risposte, quando il loro italiano era assolutamente perfetto. Ho trovato così disorientante l'accento marcatamente milanese di Johnny l'aggiustatutto, un giovanotto molto probabilmente nato in Italia da genitori cinesi a cui ho portato il mio iphone da aggiustare per rivivere l'incredibile atmosfera del mercato dell'elettronica di Shanghai. Un posto molto più piccolo il suo, con tre o quattro ragazzotti seminascosti nel soppalco a smontare e rimontare apparecchi e prezzi decisamente poco cinesi.
In libreria tendo ad acquistare e a leggere solo libri di autori cinesi e sono innamorata del presidente Xi Jinping. Insomma è grave ma passerà.
Del resto, come si dice, nuovo anno, nuova vita. Ma anche no, se possibile.
In barba ai festeggiamenti canonici spesso obbligati, a quei "allora tu cosa fai per Capodanno?" che di solito implica che se non fai nulla sei uno sfigato, ai cenoni con le lenticchie fredde in attesa che le lancette si inseguano fino alla mezzanotte, ai fuochi d'artificio in diretta dal mondo intero, noi abbiamo lasciato Milano, qualche giorno prima di congedarci dal 2017, per rientrare nell'unico paese al mondo in cui del capodanno non gliene frega nulla a nessuno. E così io il 31 dicembre alle ore 22.10 già ronfavo sul divano.
In Israele, infatti, ufficialmente, e da settembre, si è entrati nel 5778, altro che Blade Runner 2049, anche se per farsi una doccia calda bisogna ancora accendere lo scaldabagno almeno mezzora prima e i bagagli si legano sul tetto con la corda. Poco importa che si faccia tutti comunemente riferimento al calendario gregoriano per mandare avanti la baracca, qui non si contano gli anni dalla nascita di quel profeta no global concepito dallo Spirito Santo e partorito in una capanna. Come ho spiegato nel post L'anno che verrà di qualche tempo fa, nel mondo ebraico gli anni si contano dalla presunta data di creazione del mondo indicata nella Bibbia.
Io poi mi considero ufficialmente ancora nell'anno cinese del Gallo e quindi fino a metà febbraio tutto rimane come prima. E speriamo che davvero così sia. Ho quasi paura a scriverlo, dirlo e addirittura a pensarlo ma, forse, per la prima volta da tre anni a questa parte, non dovrò fare gli scatoloni la prossima estate.
Ai dodici mesi futuri guardo con entusiasmo per una serie di progetti che sto mettendo in pista e che spero spicchino il volo e, ovvio, non possono mancare i buoni propositi come quello di essere meno buona, di mangiare come mi aggrada, di bere un bicchiere di vino rosso ogni sera, di fare quello che mi piace, di non perdere tempo con persone inutili e di vivere alla giornata. L'unico forse un po' troppo ambizioso, quello di dedicarmi alla cucina, ma mi piacerebbe che un giorno i miei figli avessero un piatto preferito diverso dalla minestrina in brodo.
Mi congedo, invece, con un pizzico di nostalgia da questo 2017 che come anche gli anni precedenti e nonostante gli scombussolamenti, credo di aver vissuto intensamente succhiando tutto quello che aveva da offrirmi.
Sarà ovviamente ricordato come l'anno di Shanghai, della Cina, e di quella che è stata una breve ma intensa ed eccitante esperienza in una città che mi ha conquistata per dimensione e contrasti, dall'omino in bicicletta all'ultima torre avveniristica di Pudong.
Sono spesso assalita dal Mal di Shanghai. Mi manca quella inebriante sensazione di sentirsi un puntino perso fra la folla. Mi mancano le quotidiane esplorazioni urbane in motorino, l'incomunicabilità sempre risolta con un sorriso, le piccole attenzioni nei negozi come quando fuori piove e ti coprono il sacchetto della spesa con un cellophane, i massaggi ai piedi, i mercati, Muji, le amicizie. E' incredibile come il mio cervello abbia invece rimosso inquinamento, sputi e connessione ad internet a vapore.
Rimedio a questi attacchi di nostalgia bevendo acqua calda, ostinandomi ad andare da estetiste cinesi che, spesso, però, si sono reinventate tali all'estero e non hanno la stessa delicatezza delle compatriote. Quando mi imbatto in qualche povero sventurato dagli occhi a mandorla lo strapazzo con manifestazioni di entusiasmo anche eccessive, rivolgendogli stupide frasi in un cinese ormai più che striminzito. A Milano ho tediato per un buon quarto d'ora le proprietarie di un negozietto di cianfrusaglie a Chinatown con domande di cui ovviamente non capivo le risposte, quando il loro italiano era assolutamente perfetto. Ho trovato così disorientante l'accento marcatamente milanese di Johnny l'aggiustatutto, un giovanotto molto probabilmente nato in Italia da genitori cinesi a cui ho portato il mio iphone da aggiustare per rivivere l'incredibile atmosfera del mercato dell'elettronica di Shanghai. Un posto molto più piccolo il suo, con tre o quattro ragazzotti seminascosti nel soppalco a smontare e rimontare apparecchi e prezzi decisamente poco cinesi.
In libreria tendo ad acquistare e a leggere solo libri di autori cinesi e sono innamorata del presidente Xi Jinping. Insomma è grave ma passerà.
Del resto, come si dice, nuovo anno, nuova vita. Ma anche no, se possibile.
Che bello ritrovarti e con che bello spirito propositivo, poi! Non nutro dubbio alcuno che anche la nuova esperienza nel nuovo spichio di mondo sarà foriera di tante ed eccitanti sorprese... che non mancherai di raccontarci, spero!
RispondiEliminaIo che ahimè, ho fatto della sedentarietà virtù (?!), condivido in pieno con te il proposito del nuovo anno - o dell'anno che è: si all'autoindulgenza, no alle seghe mentali e a chi ci succhia energia senza iniettarcene di nuove in cambio. Chea dirlo non suona ambiziosissimo, ma secondo me a livello di ritrovata qualità della vita fa, fa eccome!
un caro saluto ed un abbraccio da quel di torino (ronf)
Ciao Chiara, grazie come sempre dei tuoi messaggi sempre così carini ! Guarda che anche la sedentarietà ha i suoi vantaggi. Si, sono partita alla grande ma come ho finito questo post, mi ha colpito una brutta influenza che ha sterminato mezza famiglia. Stiamo cercando di debellarla a colpi di paracetamolo e zuppa di pollo.
EliminaAnche in Israele, dopo tutto, arriva l'inverno !
A presto !