Torna a casa Boten

Il lunedì mattina gira male. E’ raro che mi svegli di buonumore perché questa cosa di dover riprogettare un’intera settimana, come se tutto quello successo in quelle precedenti fosse completamente inutile, mi snerva. 
E lunedì scorso non ha fatto eccezione. In più di questi tempi sono facilmente irritabile e quando mi sono seduta con una tazza fumante di te - che non finisco mai perché sempre troppo calda - dando un’occhiata alla lista delle cose da fare che preparo ogni domenica sera, ho mollato tutto e, senza alcun rimorso, sono tornata a letto.

Ne sono emersa una mezzoretta piu tardi in tempo per fare una doccia calda prima che l’interruttore dello scaldabagno si spegnesse, lasciandomi, come spesso succede, sotto l’acqua gelida. 
Ho ripreso in mano la lista delle cose da fare e la prima esaltante missione di una giornata che avrebbe fatto invidia a  Melinda Gates prevedeva lo sbarazzarsi della busta con la spazzatura da riciclare. Credo di essere, qui in Israele, fra quelle sei, sette persone che separano vetro, carta e plastica gettandoli negli appositi contenitori ciancicati e sparpagliati per la città. 

Ho posato il sacchetto sul marciapiede, scambiando un’occhiata di intesa con una signora anziana, una di quei pochi Giusti dell’immondizia, aspettando che terminasse di buttare le sue bottiglie di plastica.
Mentre ero intenta a fare esattamente la stessa cosa, mi sono accorta di una presenza vicino alla mia gamba. Ho guardato giù e ho visto un cagnolino che mi osservava scodinzolando. Ho ricambiato lo sguardo e mi sono accucciata ad accarezzarlo in attesa che si palesasse un padrone o una padrona. Manco l’ombra. Mi sono tirata su e l’ho visto fare dietro front trotterellando verso la strada con la stessa noncuranza del traffico che hanno i miei figli.
L’ho richiamato e lui - o lei - è tornato verso di me. L’ho fissato negli occhi e con la stessa inutilità con cui faccio la raccolta differenziata ho cercato di impostare una conversazione : Ma da dove vieni tu? Perché sei qui solo? Stranamente, nessuna risposta. Forse dovrei parlargli in ebraico, ho pensato, ma mentre cercavo di impostare a mente una frase corretta, un pick-up truck si è accostato e un giovanotto mi ha chiesto dal finestrino se quello fosse il mio cane.
No, non è il mio cane.
Ah, credo che sia il cane di miei clienti - mi dice il giovanotto che, a giudicare dagli attrezzi caricati sul furgoncino doveva essere un giardiniere. E cerca di attirare il cane che, però, rimane appiccicato alle mie gambe. 
Preferisce te - mi dice il giovanotto che aggiunge - Prendilo in braccio e sali sul furgoncino che andiamo a riportarlo ai suoi padroni. Accetto il suggerimento e non esito fino a quando sono effettivamente seduta di fianco al giovanotto con il cagnolino peloso sotto il braccio. In quel momento, il mio cervello finalmente si attiva e, nella mia testa, parte il film : Ti prego non dirmi che questa è una trappola e il giovanotto utilizza il cagnolino per adescare le sue vittime. Proprio oggi non è giornata. 
Getto un rapido sguardo alla porta e vedo che il finestrino è aperto. Ok, al massimo urlo. Poi ci ripenso. Alla fine sono in Israele e tutto questo è normale. La gente è cosi, spontanea. Quando sei nel posteggio di un grande centro commerciale e ti stai dirigendo verso la tua macchina, quante volte qualcuno alla ricerca di un posto ti adocchia e non si limita a chiederti - Scusi, lei sta uscendo?- ma ti offre un passaggio verso il tuo parcheggio per perdere meno tempo? I bambini girano soli per le strade. Va beh, c'è un criminale al governo ma tu, Anna, fidati. 

E infatti non sono stata rapita ma ci siamo fermati dopo una manciata di minuti davanti ad un alto muro di cinta con un cancello di legno. Il giovanotto è sceso e con fare sicuro ha digitato un codice e il cancello si è spalancato. Sempre con il cane sottobraccio mi sono trovata davanti un grande parallelepipedo di cemento che mi ha subito fatto venire in mente la villa di Parasite, il film coreano che ha recentemente riscosso un gran successo ma che non finisce bene.
In fondo ad un vasto prato all'inglese e ad una piscina più lunga che larga ho intravisto una sagoma dietro ad una vetrata. L’ho raggiunta a fatica, perché il cagnolino iniziava a pesare, per scoprire che si trattava della domestica filippina a cui il giovanotto, indicando il cane, annuncia con tono trionfante : Abbiamo trovato Bella! Era per strada! 
Oh, thank you! - esclama lei piena di riconoscenza - Bella, what were you doing out there? e fa entrare in casa il cane.

Soddisfatti della buona azione, il giovanotto e la sottoscritta si congedano e stanno quasi per varcare il cancello quando sentono delle grida. Mi giro e vedo la domestica filippina inseguirci con in braccio Bella e ai suoi piedi un altro cane identico. This is not Bella - esclama riferendosi al nostro cane. Bella was at home. Take this dog back! E me lo riscarica in braccio.
Il giovanotto mi guarda come per dire io ci ho provato ma adesso te la sbrighi tu. Gli chiedo a chi possa rivolgermi per ritrovare il padrone di questo cane smarrito con al collo solo un bandana rosso. Mi borbotta qualcosa in ebraico che non capisco, si infila nel furgoncino e riparte. Ovviamente non pensa a riportarmi dove mi ha caricata ed io non glielo intimo perché ancora non riesco a capire come sono riuscita a farmi incastrare in questa situazione.
Ritorno ansimante alla mia macchina con il cane appollaiato nelle mie braccia e sento che nonostante la fatica mi sto affezionando. Lo rincuoro - vedrai che sarà ok, troveremo il tuo padrone - e lo piazzo sul sedile di fianco al mio.
Richiamo i miei pochi neuroni all’ordine e decido di chiamare un’amica che ha un cane per darmi un consiglio. L’idea si rivela lungimirante perché mi gira l’indirizzo del veterinario del quartiere spiegandomi che di solito i cani hanno una chip sottocutanea che può essere letta da un congegno e risalire cosi al nome del cane e al numero di telefono del padrone. La telefonata si conclude però con : Anna, se però il chip non c’è, il cane te lo devi tenere.

Mentre guido verso il veterinario, il cagnolino mi guarda con un certo disagio. Probabilmente lo stesso che avevo provato io quando ero in auto con il giovanotto sconosciuto. 
Ma questa cosa caspita vuole da me? - si sarà chiesto - E dove mi starà mai portando? Non ha mai visto Torna a casa Lessie? Noi cani siamo in grado di ritrovare casa anche a chilometri di distanza. E invece no dovevo proprio incappare in questa tipa che fa la raccolta differenziata e deve fare la sua buona azione della giornata. Poi si ostina a parlarmi e a rassicurarmi come se potessi risponderle. E’ scema, povera.
In effetti cerco di rompere l’imbarazzo che si era creato in macchina spiegando al cane che presto avremmo trovato il suo padrone, che tutto sarebbe finito per il meglio anche perché, in quella manciata di minuti insieme, avevo già capito dai peli che mi stava disseminando sul sedile, che non ero pronta per un’eventuale adozione ed il solo pensiero di prendermene cura se da un lato mi inteneriva dall’altro mi terrorizzava. 

Con il cane sempre sottobraccio, ho tirato un sospiro di sollievo adocchiando l’immagine di una civetta, segno inequivocabile dello studio di veterinaria che cercavo. Ad accogliermi, dietro una piccola porta verde in uno stanzino impersonale e disordinato, ho trovato una ragazza a cui ho raccontato l’intera vicenda. 
Non può essere Boten!! - ha esclamato incredula, convinta di aver riconosciuto il cane - i suoi padroni sono molto attenti, non lo lascerebbero mai scappare
Ci risiamo! - ho pensato io. Non ero in grado di poter reggere ad un altro equivoco anche se alla parola “Boten” che in ebraico significa Nocciolina, ho visto il cagnolino agitarsi. La tipa gli si è avvicinata con in mano un lettore elettronico come quello dei supermercati che ha subito suonato confermando che si trattava proprio di Nocciolina. 
Boten!! Abbiamo scoperto chi sei e fra poco torni a casa! - ho esclamato con un piede già fuori dalla porta. 
Ma dai?- deve aver pensato lui - tu pensa che se mi avessi lasciato in pace, sarei già a casa da un pezzo. Adesso te ne vai per favore?
Gli ho fatto un ultimo grattino dietro le orecchie e con il sollievo di entrambi e, almeno da parte mia, anche una nuvola di tristezza che si è subito diradata, mi sono congedata.
Dopo tutto, avevo ancora una lista di cose super interessanti da fare che mi aspettava.

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