Tel Aviv. Il mio amore trasandato

Facciata decadente di un edificio stile Bauhaus in Borochov Street

La prima volta in cui ho messo i piedi a Tel Aviv risale ormai ad una ventina di anni fa. A quei tempi bazzicavo di più Haifa, la sorella più seria e composta, in bilico fra il mare e il monte Carmel.
La famiglia del coniuge viveva lì da sempre in un bellissimo appartamento con finestre grandi e luminose sul verde dei pini marittimi.

Mia cognata, allora studentessa universitaria, mi descriveva Tel Aviv con lo stesso entusiasmo con cui io ancora parlo della mia New York, una città frizzante e dinamica dove tutto poteva succedere.
Diciamo che per una teenager di Haifa, città che peraltro amo, anche Novara probabilmente avrebbe potuto avere un suo fascino.
Tuttavia quando, dopo un'ora scarsa di auto, sono finalmente arrivata nella città conosciuta anche come White City, l'ho trovata di primo acchito davvero poco white ma soprattutto brutta, sporca e incasinata.
Mi aggiravo per le strade chiedendomi cosa avrei potuto fotografare. Il mio sguardo da italiana ed europea, abituata a canoni estetici urbani decisamente diversi, al centro storico, alle prospettive rinascimentali e ai palazzi dell'ottocento era fortemente disorientato. A Tel Aviv tutto questo non c'era e per ovvie ragioni. Parliamo di una città nata e cresciuta velocemente dagli anni trenta in avanti, con ancora qualche bell'edificio coloniale britannico e tedesco ma sostanzialmente costruita secondo i dettami dell'architettura razionalista del primo dopo guerra; cubi bianchi su pilastri piantati sulla sabbia e buona fortuna.  Se a questo aggiungiamo la trasandatezza diffusa in questo paese in cui la gente si preoccupa di questioni apparentemente più serie che spazzare gli atri e rintonacare le facciate,  la salsedine e  i venti caldi che portano sabbia dal Sahara, non c'è da sorprendersi che il risultato sia quello di un ensemble urbano sostanzialmente trasandato.


Portone di un laboratorio di falegnameria 


Due erano a questo punto le opzioni; la prima, continuare a vedere di questa città quello che non mi piaceva solo perché esteticamente abituata ad altro e a meglio; la seconda quella di buttare quelle lenti da europea snob e dedicarmi invece alla ricerca di qualcosa di diverso, di una propria anima che, sapevo, avrebbe potuto conquistarmi ugualmente. E infatti è successo proprio cosi. Tel Aviv ha il merito indiscusso di avermi aperto gli occhi verso un paesaggio urbano inconsueto che in molti trovano semplicemente "brutto" ma che a me sembra molto più intrigante di certe città più facili ed immediatamente apprezzabili. Del resto Tel Aviv, come la gente che ci abita, non è una città in giacca e cravatta ma piuttosto in shorts e infradito.
Senza contare che questo cambio di prospettiva mi ha aiutato a digerire ensemble urbani decisamente più impegnativi come quello, per esempio, di Taipei.


Pelato, seminudo e al telefono. Molto probabilmente il CEO di una start-up


Me ne sono così innamorata e l'amore, si sa, rende tutto più bello. Amo il verde delle sue strade alberate, il bianco sporco dei suoi vecchi palazzi incastrati ormai fra nuovi grattacieli ambiziosi che stanno disegnando uno skyline da megalopoli nonostante superi di poco il milione di abitanti.
Alla foto del palazzo rinascimentale preferisco ora quella di luoghi anonimi e all'apparenza trasandati dove spesso si nascondono un caffè o un piccolo negozio dal design inconsueto ma accattivante.
Mi piace sedermi, ordinare una limonata fresca e osservare la gente. A Tel Aviv si ha spesso la sensazione che nessuno lavori. Sarà la completa assenza di giacche e cravatte ma è difficile pensare che il tipo in braghe corte che davanti a me sorseggia un cappuccio, parla al telefono e digita come un forsennato sulla tastiera sia il CEO di un'azienda anche se spesso lo è. 
Si vive fuori a Tel Aviv. Il mare penetra in città con un'onda invisibile e contagiosa che tutti surfano in direzioni diverse a piedi, in motorino, in bicicletta oppure a bordo di rapidissimi scooter elettrici. La città non si spegne mai ed è comune vedere anche persone di una certa età combattere l'insonnia passeggiando per strada la notte fonda oppure fermarsi a bere una tisana nei tanti bar aperti ventiquattro ore.
E' decisamente l'atmosfera che rende questo posto unico ed intrigante. Ma per coglierla bisogna rilassarsi e lasciarsi conquistare liberi da ogni preconcetto in senso lato. Chi non lo fa non sa cosa si perde.







Commenti

  1. Mi fa piacere che tu ti sia "adattata" alla città che, se non ricordo male, è anche piena di iniziative culturali. Quando incotri quel bel presunto Ceo della foto, salutamelo! Un abbraccio Cora

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